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18 luglio 2010

Un mare di... piattaforme petrolifere


di Massimo Asta

I permessi e le attività sui fondali marini trapanesi. Febbre dell’oro nero? A giudicare dalle reazioni della popolazione e degli enti locali alle attività di Shell e Northern petroleum al largo del litorale trapanese, non pare proprio. Le due compagnie hanno ricevuto, infatti, dal ministero allo sviluppo economico soltanto per le coste trapanesi ben 5 permessi di ricerca per la estrazione di petrolio su un’area di quasi 440 ettari che da Marettimo si estende verso Ovest/Nord-Ovest, e da qui verso Favignana. Un altro permesso interessa le acque al largo di Pantelleria (657,19 Kmq) e ne è beneficiaria l’Audax Energy. A questi si è aggiunta poi la San Leon Energy titolare in Sicilia di tre permessi interessanti un’area grande 150 ettari e i cui sondaggi finirebbero, fra l’altro, per lambire una parte dei fondali marini distante poco più di un chilometro dalle coste della città di Marsala. Il tutto quindi in prossimità dell’area marina delle isole Egadi, la più grande del Mediterraneo e a poche centinaia di metri dalla riserva naturale delle isole dello Stagnone. Ma come è stato possibile?

Le ultime perforazioni in queste zone risalgono al 1988. Si tratta di due pozzi, l’Ermione 1, verificatosi poi sterile, e il Tullia 1. Nel complesso le ricerche dimostrarono l’estrazione del greggio antieconomico.

Le prime cinque autorizzazioni, tutte a firma del direttore generale della Direzione per la salvaguardia ambientale ing. Bruno Agricola, sono dell’ottobre e del novembre 2006. Il secondo governo Prodi si era da poco insediato, e il ministero dell’ambiente ritenne che per l’ispezione geologica non vi fosse neanche bisogno dell’assoggettamento delle pratiche alla procedura VIA, che consente attraverso un aggravio della procedura amministrativa una maggiore tutela per l’ambiente. Per la perforazione del pozzo esplorativo le società dovranno passare, invece, per la VIA. Quelle della San Leon Energy sono invece del 2009, governo Berlusconi. Anche in questa materiavale la par condicio, a quanto pare.

Le preoccupazioni degli ambientalisti. “Se andiamo a vedere i pareri rilasciati dal ministero dell’ambiente in questi ultimi due anni – afferma Enzo Parisi della Legambiente siciliana - sono quasi tutti positivi, anche se pieni di limiti, vincoli e prescrizioni. Sarebbe stato meglio in molti casi non concederle affatto. La verità è – aggiunge Legambiente – che la Sicilia, e non è una novità di ora, è diventata una piattaforma energetica e petrolifera, il 30% del petrolio consumato in Italia viene raffinato qui. Ricordo che da vent’anni le tre aree di Priolo, Milazzo e Gela sono state ufficialmente definite aree ad elevato rischio ambientale. Si doveva porvi rimedio e non è stato fatto nulla. Un disastro, poi, come quello della Louisiana sarebbe da noi ingestibile. Una vera catastrofe ambientale, se consideriamo che non esiste neanche un piano della protezione civile in merito”.

I ritardi e le promesse della politica. I timori delle comunità locali sono evidenti. Il sindaco di Favignana Lucio Antinoro ha dichiarato: “La nostra preoccupazione è quella di perdere il patrimonio naturale delle isole Egadi, gli sforzi che abbiamo fatto durante gli anni per tutelarlo, per lasciarlo integro alle future generazioni. Abbiamo investito tutto sul turismo e sull’ambiente, la sola eventualità di un disastro ecologico ci fa tremare le vene”. Sul no alle multinazionali del petrolio c’è al momento un fronte politico trasversale. Anche il sen. D’Alì, piuttosto a sorpresa, dopo essere assurto agli onori delle cronache nazionali come primo firmatario della mozione d’indirizzo antikyoto, si è detto contrario giudicando le attività di ispezione e di estrazione di petrolio invasive dei fondali marini e ha presentato sulla questione

un’interrogazione urgente. Il governo per bocca del sottosegretario Menia ha risposto di essere a conoscenza dell’attività d’ispezione che la nave Atlantic Explorer stava svolgendo nelle acque delle Egadi per conto della Shell, che la zona interessata dalle ricerche non ricadeva all’interno dell’area marina protetta (già, solo a 2 miglia e mezzo da essa) e che l’altra società, la Northern petroleum, aveva già nei primi mesi del 2009 effettuato nelle acque trapanesi le medesime attività di ispezione. Non solo, ma Menia ha affermato che nella stessa zona sono in corso di fase istruttoria altre richieste di autorizzazione di società petrolifere. Non c’è molto da stare sereni, quindi, anche se il sen. D’Alì alla risposta del sottosegretario si è “dichiarato soddisfatto della completezza delle informazioni fornite dal rappresentante del Governo”, salvo ritenere “auspicabile che il Ministero dell’ambiente sia maggiormente prudente nel dare il concerto per l’autorizzazione di tali attività”. Tutto qua, come dire che per le attuali attività di ispezione alle quali potrà seguire l’estrazione del greggio non c’è nulla da fare. L’annuncio di D’Alì di proporre un emendamento che tuteli maggiormente i parchi nazionali e le riserve naturali da questo genere di intrusioni non cambia il quadro attuale. Ma se si era veramente contrari a rendere le acque trapanesi un arcipelago di piattaforme petrolifere off-shore, perché non si è provveduto a presentare le relative opposizione entro i sessanta giorni consentiti dalla legge? La procedura dell’avviso pubblico prevista dal D.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006 per le pronunce di compatibilità ambientale serve proprio a questo, a dare a chiunque lo desideri – cittadino, associazione, istituzione – l’opportunità di prendere visione del progetto e del relativo studio ambientale e di presentare proprie osservazioni, anche fornendo nuovi o ulteriori elementi conoscitivi e valutativi. “Non se ne sapeva niente – afferma D’Alì - fino a quando non è uscito l’articolo su Panorama, ma adesso si può intervenire per bloccare le ricerche agendo sul governo nazionale”. Le richieste delle società petrolifere erano sconosciute anche al sindaco di Favignana, per il quale tuttavia la procedura dei ricorsi rimane “abbastanza controversa”.

Se finora la politica e le istituzioni trapanesi hanno dormito sonni profondi sulla questione dei permessi, qualcosa adesso pare muoversi. Il consiglio provinciale ha di recente deciso all’unanimità di dare mandato al presidente Turano di intervenire affinché si eviti lo scempio ambientale: “È un autentica porcata (sic!) – ha accusato Turano –, metteremo in campo tutte le iniziative possibili per opporci a queste attività.” Entro il 24 giugno si possono presentare contro il progetto della San Leon Energy (quello di fronte Marsala), le relative opposizioni. Staremo a vedere. Ma come agire contro i permessi di ricerca a largo delle Egadi? Il presidente si è tenuto a questo proposito piuttosto sul vago “Questo è un problema giuridico, noi resisteremo in giudizio contro tutti i permessi presenti nello specchio delle acque trapanesi”. Nel frattempo, il consigliere provinciale del PD Ignazio Passalacqua ha annunciato che inizierà una raccolta firme contro il pericolo trivellazioni. Il contributo della popolazione è in questi casi fondamentale. Ma molto potrebbe fare il governo regionale, se vi fosse la volontà politica, modificando il piano energetico e inserendo una moratoria che sospenda in Sicilia la realizzazione di nuovi pozzi.

Il regime delle royalties. L’annuncio di Marco Brun, country manager per la Shell Italia, sulle possibilità di raddoppiare proprio grazie ai giacimenti intorno alle Egadi la produzione di greggio siciliano (dal 10% al 20% della produzione totale italiana), sembra davvero non aver entusiasmato i cuori dei trapanesi. Sarà forse perché di questa “nuova ricchezza” non ne beneficeranno i consumatori, essendo il costo della benzina sostanzialmente indipendente da tali meccanismi. O sarà, forse, perché le royalties che le multinazionali del petrolio pagano alla Regione Sicilia sono tra le più basse in assoluto d’Italia. Una vera e propria elemosina. Basti fare il raffronto con l’Emilia Romagna, con una produzione pari al 19% del greggio siciliano ma che ha incassi 33 volte maggiori di quelli “donati”, si fa per dire, alla Sicilia. Ma probabilmente nella nostra regione è sempre convenuto fare affari corrompendo la classe dirigente isolana, piuttosto che ridistribuire equamente parte dei profitti alla collettività. Del resto, quest’ultima ne avrebbe più che diritto essendo la fonte dei profitti in questione un bene pubblico, del quale le multinazionali del petrolio rimangono, giuridicamente, soltanto concessionarie.

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