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23 maggio 2010

La guerra dell'energia: D'Alì contro Lombardo?


Pubblicato su L'Isola, il 16 aprile 2010

Di Massimo Asta

La partita dell’energia in Sicilia. La politica isolana sembra essersi ripresa senza troppe ammaccature dopo il discorso del presidente della regione Raffaele Lombardo. Doveva essere un grido di accusa contro gli onorevoli colleghi dell’ARS collusi con la mafia, dovevano saltare fuori i nomi – e con loro a saltare avrebbero dovuto essere le teste di quei nomi a rigor di logica, ma non di politica siciliana -, ma tutto si è poi risolto nella classica bolla di sapone. Non pare un caso, però, che l’unico elemento di denuncia circostanziato Lombardo l’abbia riservato alla questione dei termovalorizzatori. La partita dell’energia, insieme a quella della sanità, sembra essere infatti quella che non fa dormire sonni tranquilli al governo regionale.

Bloccando i termovalorizzatori – e questa è decisamente una conquista del tanto discusso sostegno del PD a Lombardo – la regione ha, infatti, mandato in fumo affari per quasi 2 miliardi di euro, che avrebbero dovuto finire nelle tasche del gruppo Falck, della Sicil power, e a stare alle dichiarazioni di Lombardo in aula, in quelle di una società riconducibile direttamene al boss Nitto Santapaola. Ci sarebbe proprio questa coraggiosa decisione, secondo Lombardo, all’origine del complotto ordito alle sue spalle per farlo fuori, politicamente o giudiziariamente si intende. Quello che non è emerso dal dibattito è che la spinosa questione dell’energia in Sicilia rimane ancora tutta aperta e piena di incognite. La politica seguita sembra tuttavia quella di favorire i grandi colossi oligopolistici dell’energia. È ormai cosa fatta per ERG, Shell, e ENEL l’affare da oltre un miliardo di euro dei due rigassificatori siciliani di Porto Empedocle e di Priolo, l’uno considerato uno scempio culturale e ambientale perché a pochi passi dalla “Valle dei templi, l’altro in grado di danneggiare ulteriormente

un ecosistema già tristemente noto per essere il sito più inquinato d’Italia. A complicare il quadro sono invece le oltre 1500 domande di autorizzazione per la realizzazione di impianti eolici e fotovoltaici che attendono da alcuni anni una risposta dall’assessorato all’energia. È qui che si concentrano le maggiori contraddizioni tra i proprietari delle centrali elettriche tradizionali e della rete (Enel e Terna) interessati a tutelare i propri profitti (ma sarebbe più adeguato parlare di sovrapprofitti dato che si tratta sostanzialmente di situazioni monopolistiche), e i piccoli e medi imprenditori che vogliono immettere nella rete l’energia prodotta attraverso fonti rinnovabili. Affari da miliardi di euro se si considera che un solo Megawatt frutta 700.000 euro all’anno. Le domande presentate ammonterebbero

a circa 7.000 Megawatts.

Le mani della mafia sul vento. Ma la causa della lentezza con la quale le domande vengono approvate

dalla regione – voci di corridoio che si tratti di non più di sette a settimana - deve essere ricercata anche

altrove. Che la mafia abbia messo da tempo le mani sul settore dell’energia alternativa non è un mistero. “Bisogna evitare – ha dichiarato l’on. Beppe Lumia a L’isola – che il sistema mafia-metano di Ciancimino degli anni 70 e 80 e quello mafia-eolico si riproduca anche nel solare. È importante fare dell’energia un campo di cambiamento radicale per la politica siciliana. È necessario quindi, come ho detto anche in commissione antimafia, che si rivedano i meccanismi di accesso alle autorizzazioni che sono stati nel modello cuffariano ad appannaggio di meccanismi, affaristico-burocratico-mafiosi. È necessario –conclude Lumia – continuare sulla strada dell’assessore Venturi ed ho piena fiducia sulla capacità dell’assessore Pier Carmelo Russo. Ma è necessario fare presto per evitare che nel frattempo il

danno si compia”. Le intercettazioni risalenti al 2004 emerse nell’inchiesta giudiziaria riguardante le famiglie mafiose del Belice sono al riguardo sintomatiche:

Giambalvo Salvatore: La verità... in pista c'è robbabona... che hanno a fare li pali di u... li pali di lu

ventu hanno a mettere.

Giambalvo Pietro: Li pali...?

Giambalvo Salvatore: Di lu ventu!

Giambalvo Pietro: Ah, li pali di ...inc...

Giambalvo Salvatore: Pì energia elettrica.

Giambalvo Pietro: Ah!

Giambalvo Salvatore: E tra Santa Ninfa e Gibellina sunnu quacche 27 pali. E ammu a videre si sta cosa a fare.

Giambalvo Pietro: L'agguanti? Si nun si svigghia uno nun pigghia...

Parole eloquenti, queste della mafia belicina, che insieme al processo scaturito dall’operazione Eolo

(otto arresti per un parco eolico su cui aveva messo le mani il boss di Mazara del Vallo Giovan Battista

Agate), e al maxi sequestro di 200 milioni di euro alla famiglia mafiosa dei Rampulla nel messinese, hanno chiarito come Cosa Nostra si sia inserita agevolmente nel nuovo business verde in cui la mafia pare avere affari non solo nella fase della produzione, ma soprattutto in quella dell’intermediazione. È qui che entra gioco il ruolo del cosiddetto “sviluppatore” capace di procacciare le necessarie autorizzazioni, spesso con le dovute aderenze negli uffici della regione Sicilia, e all’occorrenza con l’aiuto dei boss, per poi rivenderle a peso d’oro (500 mila euro per ogni megawatt) alle multinazionali, o comunque ai grossi gruppi che lavorano nell’ambito dell’energia. Potremmo definirla un’attività di intermediazione parassitaria, tipica della funzione della mafia sin dall’epoca del feudo, e allo stesso tempo una sorta di taglia messa sulle risorse naturali della nostra terra.

La linea del governo e l’attivismo del sen. Antonio D’Alì. Si tratta solo di un

caso, ma nella inchiesta Eolo spunta fuori anche il nome del sen. Antonio D’Alì. Secondo quanto dice Vito Martino ,il factotum a Mazara del Vallo del re del vento trapanese Vito

Nicastri, intercettato nell’ambito dell’operazione eolo il senatore si sarebbe interessato presso la sovrintendenza ai beni culturali e ambientali per accelerare l’iter della pratica riguardante

il parco eolico dell’imprenditore alcamese. Si diceva che si tratta solo di un caso, per utilizzare un eufemismo di uno di quegli atti che rientrano in una “normale” politica di collegio, perché D’Alì è anche a dispetto dell’interesse mostrato per la causa dei parchi naturali uno dei politici più attivi nel sostenere la politica energetica del governo retta dal binomio ritorno al nucleare e riduzione delle energie alternative.

Una attività legislativa e parlamentare,degna di nota, quella del senatore, che ultimamente è riuscita a meritare perfino l’onore delle cronache nazionali. D’Alì è infatti il primo firmatario dell’Atto di sindacato ispettivo n. 1-00248, in pratica una mozione diindirizzo che chiede al governo di smentire il protocollo di Kyoto, edichiarare decaduto l’accordo raggiunto al Consiglio europeo del 20-20-20.

L’assunto in perfetto stile negazionista dei nove senatori del PDL, e di cui D’Alì è il capofila, vuole sostenere non solo che i dati sul riscaldamento globale non sono attendibili – e a proposito si chiede nella mozione di rivedere i componenti della Ipcc, cioè la commissione internazionale di scienziati,

punto di riferimento per le politiche virtuose in materia - ma anche che le politiche di contenimento sulla emissione di CO2 non sarebbero in grado di avere effetti benefici sul clima. Sempre dall’alto del suo ruolo D’Alì - non è poi tanto paradossale che sia presidente della 13esima commissione ambiente del senato – si è premurato anche di presentare un’altra mozione lo scorso luglio in cui si chiedeva di non incentivare l’energia rinnovabile da solare termodinamico (a specchi), un sistema di produzione di energia legato al premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia, costretto purtroppo a lavorare all’estero.

Per D’Alì l’interesse per l’energia deve suonare quasi come un dolce ritorno al passato. Fu proprio la famiglia D’Alì ai primi del novecento a reinvestire i propri capitali del latifondo e delle saline nell’industria elettrifica e nella elettrificazione della città di Trapani.

“Ambientalismo” autonomista. A guardare la posizione di D’Alì in materia di clima quella del governatore Lombardo potrebbe essere letta come quella di un attivista di Greenpeace. Ma non è proprio così, anche se la questione dell’energia sembra attraversare, a volte sottotraccia, altre volte in modo palese le divisioni all’interno della galassia berlusconiana. Il nome dell’on. Pino Firrarello, lealista al pari di D’Alì, evocato durante l’ultima seduta dell’ARS da Lombardo, e suo acerrimo nemico, è infatti un altro dei nove senatori che hanno firmato la mozione anti-Kyoto. Tuttavia a

guardare bene in fondo all’ambientalismo di marca autonomista sembra esserci il solito gioco di corrente e di alleanze, e che a questo fine strumentalizza programmi, decisioni, e ideologie. Tanto che il

Lombardo del 2008 era favorevole ai termovalorizzatori, mentre quello alleato con il PD ne ha bloccati quattro; così durante il governo Cuffaro, Lombardo si era pronunciato contro l’affare del rigassificatore di Porto Empedocle, e dopo, da governatore ha dato il via all’intera operazione. Per non parlare del tanto decantato Piano energetico regionale che, con buona pace di Rifkin venuto in Sicilia a sponsorizzare l’operazione, più che favorire lo sviluppo delle energie rinnovabili è stato calibrato per tutelare gli interessi dei grossi oligopoli elettrici del settore. La parte del Piano sotto accusa e quella dove si dice che “il gestore deve garantire che la capacità ricettiva della rete consente l’immissione dei nuovi Mw richiesti aggiuntivamente a quelli in produzione o autorizzati”. Ma le energie rinnovabili

sono sostitutive delle energie fossili tradizionali non aggiuntive! E c’è poi il diritto, in sostanza di veto, del gestore della rete per sopravenute esigenze di staccare gli impianti esistenti.

Eppure la famiglia del governatore ci tiene alla propria fama ambientalista ed è per questo che il deputato Angelo Lombardo - fratello di Raffaele sotto indagine anche lui con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa - si è dato un gran da fare per presentare una proposta di legge sull’illuminazione pubblica a energia solare, una in materia di agroenergia e biocarburanti, un’altra contro l’uso nocivo del coke da parte dell’ENI a Gela. Anche la moglie del governatore, Saveria Grosso, sembra essere stata presa dalla green way of life tanto da aver chiesto e ottenuto dall’IRFIS (di questo istituto di credito è socio di minoranza la regione Sicilia, e quindi sottoposto al controllo di quest’ultima, cioè di suo marito!) un finanziamento di 5 milioni e 600 mila euro per un impianto fotovoltaico.

Le famiglie e il sistema del “conto energia”. Una proposta per risolvere una parte del problema viene dall’ex senatore Nicola Cipolla, presidente del Cepes, istituto da oltre venti anni impegnato sulle tematiche ambientali: “Le nostra proposta è quella di rinazionalizzare Terna e trasformarla in un ente economico pubblico che si occupi di gestire la distribuzione dell’energia e la dismissione delle centrali elettriche obsolete. Solo così si può superare il conflitto d’interesse tra gli oligopoli e i piccoli imprenditori che investono nelle energie alternative bloccando la rivoluzione energetica che le tecnologie a nostra disposizione già consentirebbero”.

Intanto, la rivoluzione potrebbe partire proprio da cittadini. Pochi sanno, perché - data l’entità degli interessi economici in questione – nessuna campagna pubblicitaria è mai iniziata in tal senso, che dal 2005 è possibile dotare i propri tetti di impianti fotovoltaici con il sistema del “conto energia”, ovvero rivendendo tutta l'energia elettrica prodotta direttamente al gestore GSE (Gestore dei servizi elettrici) ad una tariffa incentivante. Sarebbe forse questa l’unica via per superare l’empasse, nonché per recuperare i milioni di euro che i contribuenti hanno già pagato come rincaro nelle bollette proprio per favorire lo sviluppo delle energie pulite.

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