Salvatore Borsellino vuole la verità sulla morte di suo fratello. È per questo che si batte da anni promuovendo una nuova cultura della legalità nelle scuole, tiene conferenze in giro per l’Italia, ma soprattutto porta avanti una campagna di informazione e di controinformazione affinché venga fatta luce sulle stragi dei primi anni novanta. Dopo 17 anni, infatti,i mandanti esterni della strage di via D’Amelio sono avvolti ancora nell’ombra. Adesso le nuove rivelazioni dei pentiti (in particolare quelle di Brusca e di Gaspare Spatuzza), le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, la scoperta del “papello” contenente le richieste che la mafia avrebbe rivolto allo Stato durante la trattativa, hanno fatto riaprire le indagini delle procure di Palermo e Caltanisetta.
In attesa dei nuovi risvolti giudiziari, l’agenda rossa sottratta nel luogo della strage dalla borsa di Paolo Borsellino è diventata il simbolo della battaglia di Salvatore Borsellino e di tutti quei siciliani - e non solo - per bene, che come lui sentono il bisogno che vengano scritte dai tribunali finalmente delle parole di verità. È anche sul sangue di quelle stragi che affondano le radici della cosiddetta Seconda Repubblica.
Dott. Borsellino più volte ha dichiarato che è la rabbia che le ha consentito di superare quell’evento traumatico, e che è sempre la rabbia l’ha spinto a proseguire nella sua battaglia. Con le nuove indagini della procure di Palermo e Caltanisetta non si sta aprendo finalmente uno squarcio di luce?
Dopo la strage del ’92 per cinque anni ho partecipato ad incontri e sono stato nelle scuole per incontrare i ragazzi e portare loro il messaggio di Paolo. Pensavo che ora che Paolo non aveva più voce dovessimo essere noi, così io come Rita, suoi fratelli, a dargli voce e a portare ai giovani, che lui tanto amava, il suo messaggio che era soprattutto un messaggio di amore per il suo paese,la Sicilia e l’Italia tutta. Erano gli anni in cui parlavo della speranza che la morte di Paolo fosse servita a risvegliare la coscienza civile degli italiani e a provocare quella reazione dello Stato che avrebbe potuto portare a sconfiggere definitivamente la criminalità organizzata. In quegli anni io arrivai a dire che se Dio aveva voluto che Paolo morisse perché questo nostro disgraziato paese potesse cambiare, allora io ringraziavo Dio di averlo fatto morire perché quello era il sogno di Paolo e Paolo sarebbe stato contento di sapere che la sua morte era servita a realizzare il suo sogno.
Questa speranza si è man mano affievolita insieme con il riaffiorare dell’indifferenza e con la consapevolezza del fatto che tutte le indagini e i processi che miravano a individuare i veri mandanti di quella strage venivano inesorabilmente bloccati, con il constatare che nel nostro paese tutto stava per ritornare come prima, peggio di prima, e che il sacrificio di Paolo sembrava essere stato inutile. Non riuscii allora più a parlare, non potevo più parlare, ora che la speranza era morta dentro di me, in nome di Paolo, che la speranza aveva coltivato fino all’ultimo giorno della sua vita. Mi chiusi in un silenzio che durò per ben sette anni, erano anni in cui mi sono sentito morto dentro, ma intanto nel vedere come quegli stessi uomini che avevano voluto la sua morte stavano godendo i frutti degli equilibri politici che si erano stabiliti dopo quella strage, nel vedere come la criminalità organizzata stesse penetrando sempre di più nel tessuto economico e politico del nostro paese, inquinando addirittura le stesse istituzioni, la rabbia mi continuava a montare dentro fino a quando non mi fu più possibile contenerla e ricominciai a parlare scrivendo una lettera aperta che chiamai: “19 luglio 1992 : una strage di Stato” nella quale denunziavo la convinzione che in quegli anni era maturata dentro di me, cioè che non fosse stata solo la mafia ad uccidere Paolo Borsellino ma che in quella strage fossero stati pesantemente coinvolti pezzi deviati dello Stato. Da allora giro l’Italia per gridare la mia rabbia e lanciare le mie accuse e oggi, dopo anni, nel constatare come finalmente ci sono dei giudici coraggiosi che a Palermo, a Caltanissetta, a Firenze, a Milano, hanno riaperto le indagini e stanno indagando per squarciare il velo che copre le stragi del ’92 e del ’93 e i loro mandanti occulti, comincio a sentire sempre più forte rinascere dentro di me la speranza di vedere fatta Giustizia per quelle stragi.
Si è parlato, per la morte di Paolo Borsellino, di una sorta di accelerazione inspiegabile nella strategia portata avanti dalla mafia a colpi di bombe negli anni ’92-‘93. La spiegazione può venire dal fatto che Borsellino una volta venuto a conoscenza di quell’infame trattativa tra mafia e stato avesse deciso di mettersi di traverso?
Da anni, e da un periodo in cui facevo queste affermazioni e venivo guardato come un marziano o come un pazzo, sostengo che mio fratello è stato ucciso proprio perché, venuto a conoscenza di questa scellerata trattativa che pezzi dello Stato avevano avviato con la criminalità organizzata, deve essersi rivoltato con tutto lo sdegno che una proposta del genere gli poteva suscitare. Credo che Paolo Borsellino, se non fosse riuscito a fermare questo indegno armistizio che lo Stato aveva intenzione di concludere con la criminalità organizzata, non avrebbe esitato a denunciarlo all’opinione pubblica e a questo punto non restava che una soluzione: eliminarlo ed eliminarlo in fretta e insieme a lui fare sparire la sua agenda rossa nella quale Paolo sicuramente queste sue intenzioni, insieme alle terribili rivelazioni che in quei giorni gli stavano facendo collaboratori di giustizia come Gaspare Mutolo e Leonardo Messina, aveva annotato.
Eppure Mancino dice di non ricordare l’incontro con Paolo Borsellino, mentre il gen. Mori continua a negare l’esistenza stessa della trattativa con la mafia.
Mancino mente. Paolo annotò quell’incontro nella sua agenda grigia, che non ha potuto essere sottratta o distrutta perchè conservata nella sua casa e che abbiamo conservato. Paolo compilava i fogli di quell’agenda alla fine della sua giornata, riportando in essa tutte le spese, tutti i suoi spostamenti e i suo incontri della giornata e nel foglio del 1° luglio, alle ore 19:30 è chiaramente riportato il nome di Mancino. Allora o Mancino deve accusare Paolo di avere annotato un falso, chissà a quale scopo, o deve confessare di avere incontrato Paolo e rivelare i contenuti di quell’incontro. Ma non può farlo perchè dovrebbe dire di avergli parlato della trattativa e la trattativa e il motivo per cui Paolo è stato ucciso.
In questo girone degli smemorati che trovano la memoria soltanto dopo 17 anni, ritiene che qualcun altro si farà avanti per parlare?
Prima di tutto bisogna chiedersi perché in tanti oggi (tranne Mancino) ritrovino la memoria e rivelano particolari che se riferiti 17 anni fa avrebbero potuto permettere di fare luce sui motivi di quella strage. Ma forse il problema è proprio che se ne avessero parlato 17 anni fa nessuno li avrebbe ascoltati dato che allora non pare che i Giudici avessero la stessa determinazione che hanno oggi Sergio Lari, Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Roberto Scarpinato, per citare solo quelli di Palermo e di Caltanissetta, di arrivare alla verità. Forse chi parla oggi spontaneamente lo fa anche per evitare di doverlo fare, sotto diversa veste, davanti a questi magistrati.
Chi ha ucciso suo fratello? Dice il vero Riina quando dichiara che la mafia con la strage di via d’Amelio non c’entra? E allora chi? Quali settori dello Stato potevano essere interessati a fermare l’azione di Paolo Borsellino?
Il compito di scoprire chi ha ucciso mio fratello spetta ai magistrati e io ho molto fiducia in “questi” magistrati. Sicuramente mio fratello è stato ucciso non solo dalla mafia, e lo diceva lui stesso prima di morire che non solo la mafia avrebbe voluto la sua morte. Riina perciò dice solo una parte di verità, lancia cioè un messaggio per dire che non deve essere solo lui a pagare per una strage che non è stata fatta solo dalla mafia. I settori dello stato interessati a fermare l’azione di Paolo Borsellino sono gli stessi settori interessati a portare avanti quella trattativa che probabilmente non si è ancora conclusa o il cui prezzo qualcuno sta ancora pagando a fronte dei vantaggi che tutt’ora sta godendo.
La sua e la fiducia di molti siciliani per bene è riposta nell’attività di quei magistrati onesti e coraggiosi che stanno indagando sulle stragi di quegli anni. Si aspetta qualche segnale, però, anche dal mondo della politica?
Dalla politica, da “questa” politica, non mi aspetto nessun segnale, mi aspetto però che se, nonostante tutto, tra i politici ci sono ancora delle persone oneste che sanno e che, per paura o altro, non hanno ancora parlato, parlino e si dissocino dai veri complici e dai veri responsabili di quelle stragi. Soprattutto mi aspetto che nessuno abbia il coraggio di sostenere che, se trattativa c’è stata, questa è stata portata avanti per “ragion di Stato”. Non è uno stato degno di chiamarsi tale quello che stringe patti e fa accordi di qualsiasi tipo con l’”antistato”. Purtroppo da un parlamento e da una classe politica che oltre a leggi “ad personam” e leggi “contra personam” ha fatto finora solo leggi “ad mafiam” c’è poco da aspettarsi.
Che effetto le fa sapere che il referente politico della mafia, secondo le ultime rivelazioni dei pentiti, sarebbe stato dopo il ‘93 Marcello Dell’Utri, per anni braccio destro del Presidente del consiglio Silvio Berlusconi?
Mi conferma nell’idea che purtroppo oggi la criminalità organizzata e i suoi complici è saldamente annidata all’interno delle Istituzioni e che in queste è arrivata addirittura ai vertici. D’altra parte è stato lo stesso presidente del Consiglio a dire ad un congresso di Forza Italia, indicando Dell’Utri: “senza quest’uomo Forza Italia non esisterebbe”. Ha cioè confessato che il principale partito della coalizione che ci governa è stato messo in piedi con i capitali della criminalità organizzata. Forse non manca troppo al tempo in cui, caduto il lodo Alfano, “alfa” e “beta”, i mandanti occulti, potranno essere chiamati davanti ai magistrati a rispondere delle loro azioni e a pagare per esse.
In attesa dei nuovi risvolti giudiziari, l’agenda rossa sottratta nel luogo della strage dalla borsa di Paolo Borsellino è diventata il simbolo della battaglia di Salvatore Borsellino e di tutti quei siciliani - e non solo - per bene, che come lui sentono il bisogno che vengano scritte dai tribunali finalmente delle parole di verità. È anche sul sangue di quelle stragi che affondano le radici della cosiddetta Seconda Repubblica.
Dott. Borsellino più volte ha dichiarato che è la rabbia che le ha consentito di superare quell’evento traumatico, e che è sempre la rabbia l’ha spinto a proseguire nella sua battaglia. Con le nuove indagini della procure di Palermo e Caltanisetta non si sta aprendo finalmente uno squarcio di luce?
Dopo la strage del ’92 per cinque anni ho partecipato ad incontri e sono stato nelle scuole per incontrare i ragazzi e portare loro il messaggio di Paolo. Pensavo che ora che Paolo non aveva più voce dovessimo essere noi, così io come Rita, suoi fratelli, a dargli voce e a portare ai giovani, che lui tanto amava, il suo messaggio che era soprattutto un messaggio di amore per il suo paese,la Sicilia e l’Italia tutta. Erano gli anni in cui parlavo della speranza che la morte di Paolo fosse servita a risvegliare la coscienza civile degli italiani e a provocare quella reazione dello Stato che avrebbe potuto portare a sconfiggere definitivamente la criminalità organizzata. In quegli anni io arrivai a dire che se Dio aveva voluto che Paolo morisse perché questo nostro disgraziato paese potesse cambiare, allora io ringraziavo Dio di averlo fatto morire perché quello era il sogno di Paolo e Paolo sarebbe stato contento di sapere che la sua morte era servita a realizzare il suo sogno.
Questa speranza si è man mano affievolita insieme con il riaffiorare dell’indifferenza e con la consapevolezza del fatto che tutte le indagini e i processi che miravano a individuare i veri mandanti di quella strage venivano inesorabilmente bloccati, con il constatare che nel nostro paese tutto stava per ritornare come prima, peggio di prima, e che il sacrificio di Paolo sembrava essere stato inutile. Non riuscii allora più a parlare, non potevo più parlare, ora che la speranza era morta dentro di me, in nome di Paolo, che la speranza aveva coltivato fino all’ultimo giorno della sua vita. Mi chiusi in un silenzio che durò per ben sette anni, erano anni in cui mi sono sentito morto dentro, ma intanto nel vedere come quegli stessi uomini che avevano voluto la sua morte stavano godendo i frutti degli equilibri politici che si erano stabiliti dopo quella strage, nel vedere come la criminalità organizzata stesse penetrando sempre di più nel tessuto economico e politico del nostro paese, inquinando addirittura le stesse istituzioni, la rabbia mi continuava a montare dentro fino a quando non mi fu più possibile contenerla e ricominciai a parlare scrivendo una lettera aperta che chiamai: “19 luglio 1992 : una strage di Stato” nella quale denunziavo la convinzione che in quegli anni era maturata dentro di me, cioè che non fosse stata solo la mafia ad uccidere Paolo Borsellino ma che in quella strage fossero stati pesantemente coinvolti pezzi deviati dello Stato. Da allora giro l’Italia per gridare la mia rabbia e lanciare le mie accuse e oggi, dopo anni, nel constatare come finalmente ci sono dei giudici coraggiosi che a Palermo, a Caltanissetta, a Firenze, a Milano, hanno riaperto le indagini e stanno indagando per squarciare il velo che copre le stragi del ’92 e del ’93 e i loro mandanti occulti, comincio a sentire sempre più forte rinascere dentro di me la speranza di vedere fatta Giustizia per quelle stragi.
Si è parlato, per la morte di Paolo Borsellino, di una sorta di accelerazione inspiegabile nella strategia portata avanti dalla mafia a colpi di bombe negli anni ’92-‘93. La spiegazione può venire dal fatto che Borsellino una volta venuto a conoscenza di quell’infame trattativa tra mafia e stato avesse deciso di mettersi di traverso?
Da anni, e da un periodo in cui facevo queste affermazioni e venivo guardato come un marziano o come un pazzo, sostengo che mio fratello è stato ucciso proprio perché, venuto a conoscenza di questa scellerata trattativa che pezzi dello Stato avevano avviato con la criminalità organizzata, deve essersi rivoltato con tutto lo sdegno che una proposta del genere gli poteva suscitare. Credo che Paolo Borsellino, se non fosse riuscito a fermare questo indegno armistizio che lo Stato aveva intenzione di concludere con la criminalità organizzata, non avrebbe esitato a denunciarlo all’opinione pubblica e a questo punto non restava che una soluzione: eliminarlo ed eliminarlo in fretta e insieme a lui fare sparire la sua agenda rossa nella quale Paolo sicuramente queste sue intenzioni, insieme alle terribili rivelazioni che in quei giorni gli stavano facendo collaboratori di giustizia come Gaspare Mutolo e Leonardo Messina, aveva annotato.
Eppure Mancino dice di non ricordare l’incontro con Paolo Borsellino, mentre il gen. Mori continua a negare l’esistenza stessa della trattativa con la mafia.
Mancino mente. Paolo annotò quell’incontro nella sua agenda grigia, che non ha potuto essere sottratta o distrutta perchè conservata nella sua casa e che abbiamo conservato. Paolo compilava i fogli di quell’agenda alla fine della sua giornata, riportando in essa tutte le spese, tutti i suoi spostamenti e i suo incontri della giornata e nel foglio del 1° luglio, alle ore 19:30 è chiaramente riportato il nome di Mancino. Allora o Mancino deve accusare Paolo di avere annotato un falso, chissà a quale scopo, o deve confessare di avere incontrato Paolo e rivelare i contenuti di quell’incontro. Ma non può farlo perchè dovrebbe dire di avergli parlato della trattativa e la trattativa e il motivo per cui Paolo è stato ucciso.
In questo girone degli smemorati che trovano la memoria soltanto dopo 17 anni, ritiene che qualcun altro si farà avanti per parlare?
Prima di tutto bisogna chiedersi perché in tanti oggi (tranne Mancino) ritrovino la memoria e rivelano particolari che se riferiti 17 anni fa avrebbero potuto permettere di fare luce sui motivi di quella strage. Ma forse il problema è proprio che se ne avessero parlato 17 anni fa nessuno li avrebbe ascoltati dato che allora non pare che i Giudici avessero la stessa determinazione che hanno oggi Sergio Lari, Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Roberto Scarpinato, per citare solo quelli di Palermo e di Caltanissetta, di arrivare alla verità. Forse chi parla oggi spontaneamente lo fa anche per evitare di doverlo fare, sotto diversa veste, davanti a questi magistrati.
Chi ha ucciso suo fratello? Dice il vero Riina quando dichiara che la mafia con la strage di via d’Amelio non c’entra? E allora chi? Quali settori dello Stato potevano essere interessati a fermare l’azione di Paolo Borsellino?
Il compito di scoprire chi ha ucciso mio fratello spetta ai magistrati e io ho molto fiducia in “questi” magistrati. Sicuramente mio fratello è stato ucciso non solo dalla mafia, e lo diceva lui stesso prima di morire che non solo la mafia avrebbe voluto la sua morte. Riina perciò dice solo una parte di verità, lancia cioè un messaggio per dire che non deve essere solo lui a pagare per una strage che non è stata fatta solo dalla mafia. I settori dello stato interessati a fermare l’azione di Paolo Borsellino sono gli stessi settori interessati a portare avanti quella trattativa che probabilmente non si è ancora conclusa o il cui prezzo qualcuno sta ancora pagando a fronte dei vantaggi che tutt’ora sta godendo.
La sua e la fiducia di molti siciliani per bene è riposta nell’attività di quei magistrati onesti e coraggiosi che stanno indagando sulle stragi di quegli anni. Si aspetta qualche segnale, però, anche dal mondo della politica?
Dalla politica, da “questa” politica, non mi aspetto nessun segnale, mi aspetto però che se, nonostante tutto, tra i politici ci sono ancora delle persone oneste che sanno e che, per paura o altro, non hanno ancora parlato, parlino e si dissocino dai veri complici e dai veri responsabili di quelle stragi. Soprattutto mi aspetto che nessuno abbia il coraggio di sostenere che, se trattativa c’è stata, questa è stata portata avanti per “ragion di Stato”. Non è uno stato degno di chiamarsi tale quello che stringe patti e fa accordi di qualsiasi tipo con l’”antistato”. Purtroppo da un parlamento e da una classe politica che oltre a leggi “ad personam” e leggi “contra personam” ha fatto finora solo leggi “ad mafiam” c’è poco da aspettarsi.
Che effetto le fa sapere che il referente politico della mafia, secondo le ultime rivelazioni dei pentiti, sarebbe stato dopo il ‘93 Marcello Dell’Utri, per anni braccio destro del Presidente del consiglio Silvio Berlusconi?
Mi conferma nell’idea che purtroppo oggi la criminalità organizzata e i suoi complici è saldamente annidata all’interno delle Istituzioni e che in queste è arrivata addirittura ai vertici. D’altra parte è stato lo stesso presidente del Consiglio a dire ad un congresso di Forza Italia, indicando Dell’Utri: “senza quest’uomo Forza Italia non esisterebbe”. Ha cioè confessato che il principale partito della coalizione che ci governa è stato messo in piedi con i capitali della criminalità organizzata. Forse non manca troppo al tempo in cui, caduto il lodo Alfano, “alfa” e “beta”, i mandanti occulti, potranno essere chiamati davanti ai magistrati a rispondere delle loro azioni e a pagare per esse.
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