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20 marzo 2010

La crisi della prima repubblica all’origine della trattativa

Pubblicato su L’isola il 30 ottobre 2009

di Massimo Asta
Giuseppe Carlo Marino e lo storico della mafia più citato e più letto. Tra le sue opere sul fenomeno, oltre a una miriade di saggi ed articoli, ricordiamo I padrini, La storia della mafia, La Sicilia delle stragi editi tutti per i tipi della Newton&Compton.
Con lui abbiamo voluto ricostruire il quadro politico in cui si determinarono gli eventi di quegli anni segnati dalle stragi, dal sangue di innocenti e di onesti servitori dello stato, e dalla trattativa che produsse i nuovi rapporti tra la mafia e il nuovo sistema politico.
In che modo avvenne la crisi della cosiddetta Prima Repubblica?
Sono gli anni dell’esplosione del processo che conduce dalla destabilizzazione alla catastrofe della cosiddetta Prima Repubblica. La destabilizzazione era già cominciata nei primi anni ’80 al termine della stagione delle stragi del terrorismo politico e aveva avuto un’accelerazione nell’89 con la caduta del Muro di Berlino, un evento che rende inutili e superflui certi partiti in Italia e ne mette in crisi irreversibilmente altri: inutile ormai la DC che aveva rappresentato il baluardo comunista in Italia, inutile o gravemente costretto alla crisi il PSI di Craxi perché la stessa parola socialismo era diventata ormai una parola inquietante e quasi oltraggiosa. Naturalmente del tutto superflui i partitini già alleati della DC e del PSI nei precedenti assetti di governo. In questo quadro l’unico partito che sembra potere trarre profitto dalla trasformazioni in corso è il PCI: un po’ paradossalmente perché essendo appunto comunista avrebbe dovuto sollevare più preoccupazioni nell’opinione pubblica moderata italiana del partito socialista che era stato alleato della DC. Ma il PSI stava per essere investito dalla questione morale (che emerse in tutta la sua entità con lo scandalo di Tangentopoli), mentre il PCI poteva valere come la forza popolare, e non solo popolare, che da Berlinguer in poi aveva ostentato il suo ruolo di partito della moralità pubblica, di cui la famosa formula berlingueriana del “Partito della diversità”. In più il PCI poteva rivendicare il fatto di avere coerentemente sostenuto le istituzioni repubblicane (alla cui formazione aveva contribuito in modo decisivo) e ne era dimostrazione la sua recente lotta al terrorismo vicino alla sinistra extraparlamentare.
Come si inserisce la mafia in un contesto politico così complesso come quello appena descritto?
La mafia teme che dopo l’89 il PCI finalmente con il suo nome o con un altro, in ogni caso con il suo ceto politico, conquisti il potere in Italia ed è alla ricerca di altri referenti che possano garantirle di continuare a svolgere quel ruolo di mediazione parassitaria (cessione di voti, organizzazione del consenso elettorale in cambio della licenza di partecipazione primaria all’illegalismo del sistema) che aveva già svolto negli anni precedenti. In una prima fase sembra che Cosa nostra avesse identificato nel PSI di Craxi questo referente di cui ha bisogno, ma l’ipotesi si evidenzia subito molto debole data l’esiguità elettorale complessiva del PSI e la sua esposizione agli eventi che da lì a poco nei primi anni ’90 ne provocheranno la liquidazione. Ma è in incubazione la organizzazione di una nuova forza politica sostitutiva della DC e la mafia contribuirà a farla emergere e, comunque, si adopererà per appoggiarla.
Si tratta di Forza Italia…
Sì. Naturalmente ancora con cautela e con probabili difficoltà di orientamento. In un certo senso anche la mafia ha perduto il suo ruolo nazionale e subiva esse stessa gli effetti di destabilizzazione del sistema paese. Si sarebbe aperta una nuova stagione – un nuovo orientamento, con nuove prospettive di riprendere il proprio ruolo a sostegno di una certa politica condiscendente nei confronti dei suoi affari – proprio con la discesa in campo del Cavaliere Berlusconi. Il passaggio al nuovo orientamento è una maturazione progressiva frutto di una ricerca complicata in una situazione in cui la stessa politica appare in preda ad un processo di disgregazione. La mafia che non può più contare sui vecchi dirigenti democristiani e che tra l’altro avevano mostrato di distanziarsene (si pensi all’ultimo Andreotti e all’esito del maxiprocesso), punta sulle capacità delle forze economiche di costituire il nuovo ante murale alla temuta affermazione della sinistra. Queste forze economiche a loro volta, coniugandosi con un partito in formazione, Forza Italia, sembrano non disdegnare l’apporto che la mafia è ancora in grado di assicurare ai successi politici nel sud e in Sicilia in particolare. Da qui, quei contatti che i processi hanno rivelato tra noti esponenti della Fininvest e nuovi referenti, di cui la mafia si avvale sostituendo ormai uomini già bruciati come Vito Ciancimino. In questo contesto il caso Dell’Utri è inquietante e meriterà anche degli approfondimenti storici, anche al di là delle risultanze giudiziarie attuali e di quelle eventuali future.
Adesso le procure di Palermo e Caltanissetta stanno indagando a 360° sulla presunta trattativa tra mafia e Stato. È saltato fuori perfino il “papello” contenente le richieste della mafia. La trattativa quindi c’è stata.
La trattativa può risultare scandalosa solo a quanti ignorano che negli snodi decisivi delle trasformazioni politiche avvenute in Italia la mafia ha sempre trattato la sua collocazione: questo era già accaduto nell’800 nel passaggio dai governi della destra storica a quelli della sinistra; era accaduto negli anni ’20 del secolo scorso, nel passaggio dallo stato liberale al regime fascista; era accaduto nei primi anni della Repubblica (ed in proposito il caso del bandito Giuliano è da considerarsi esemplare). Adesso a fine secolo saltati gli equilibri del sistema democristiano è più che scontato che la mafia tenti di mettere nel suo paniere i risultati di una trattativa con gli eredi della DC e del suo sistema di potere. Lo scandalo non consiste sul fatto che sia esistito il papello delle proposte della mafia allo Stato, ma il fatto che finalmente una trattativa del genere sia venuta alla luce, infatti tutte quelle precedenti erano rimaste nell’oscurità e avevano avuto, a quanto se ne sa, carattere informale. Sembrerebbe invece che quella avviata da Riina e mediata da personalità emergenti di Forza Italia avesse i caratteri di una vera e propria trattativa formale, con degli emissari che avevano le divise dello Stato e che trattavano ufficialmente e formalmente in nome e per conto dello Stato. Se tutto questo è del tutto vero, sarà provato o non lo sarà dai procedimenti giudiziari in corso, ma rimane il fatto che non si tratta di puro chiacchiericcio, ma di operazioni fondate su dati di fatto ormai acquisiti.

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