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20 marzo 2010

L’antimafia dalle armi spuntate

Pubblicato su L'isola il 13 novembre 2009
di Massimo Asta
Continuano le rivelazioni di Massimo Ciancimino sugli anni tristi della repubblica, quella stagione in cui l’escalation di violenza e terrore mafioso culminò negli attentati di Capaci e via D’Amelio, e poi in quelli di Firenze, Roma e Milano del 93. Si tenta di far luce, e l’apporto dato dal figlio di Don Vito Ciancimino si sta rivelando fondamentale ai fini delle indagini riaperte da ben quattro procure.
È la prima volta nella storia dell’antimafia che il figlio di un politico mafioso collabora con la giustizia. Fin’ora niente colpi di scena eclatanti, comunque, mentre il consueto can can mediatico si mantiene stranamente, considerando i risvolti esplosivi che potrebbe avere queste indagini, in una posizione piuttosto defilata. Ma siamo ancora nella fase istruttoria, anche se la politica è già intervenuta a gamba tesa per delegittimare l’opera di quei magistrati impegnati nel loro lavoro quotidiano e coraggioso di ricerca della verità. Con il procuratore aggiunto di Palermo, abbiamo proprio voluto capire meglio qual è il clima che si respira in questo momento tra gli organi inquirenti, da mesi ormai impegnati a ricostruire meticolosamente i pezzi di quel puzzle che prese, dopo la crisi politica dell’89 – 94, le sembianze della cosiddetta Seconda repubblica. Un parte di essa affonda, purtroppo, le proprie radici sul sangue di quelle stragi.
Dott. Ingroia, la collaborazione di Massimo Ciancimino non rappresenta una novità assoluta nella storia della lotta alla mafia? Sarebbe la prima volta che un esponente del livello politico dell’organizzazione mafiosa parla, collabora con la giustizia.
No, direi di no, avremmo potuto parlare di livello politico se avesse collaborato veramente il padre, se avesse parlato il padre sul serio come ad un certo momento si pensò, si auspicò, si sperò, agli inizi del 93 - mi ricordo bene perché me ne occupai io pure - si sarebbe fatto veramente un salto di qualità. Vito Ciancimino sapeva moltissimo, e si sarebbe trattato di notizie tutte di prima mano. Quelle del figlio sono cose orecchiate dal padre, qualcosa che lui ha visto personalmente, alcune sue ricostruzioni, certo ha fornito dei documenti che sono preziosi, ma di certo non si può parlare di un politico che collabora, si tratta di un figlio minore di un politico mafioso, che ci ha fornito delle indicazioni che però in quanto tali non essendo quasi nessuna di prima mano vanno utilizzate con grande cautela, verificando, riscontrando passo, dopo passo tutte le dichiarazioni.
A proposito di documenti, riguardo al “papello”, almeno, quello apparso sulla stampa, Violante ha dichiarato in un intervista che si tratterebbe di un falso, dato che il 41 bis non era ancora applicato ai mafiosi nel ‘92.
No, in realtà non è proprio così, perché nel decreto Martelli c’era già il carcere duro. Comunque, è giusto avere il dovuto scetticismo, la dovuta cautela. Noi stiamo facendo degli accertamenti molto delicati che ci consentiranno spero entro qualche mese di trarre delle conclusioni
Parliamo della durata della trattativa, Gaspare Spatuzza fissa come termine il 2004, ma si sostiene che la trattativa tra mafia e stato sarebbe tutt’ora in corso. C’è poi chi sostiene, che i boss si sono decisi finalmente a parlare perché in questo modo minaccerebbero il governo, o comunque la classe politica, affinché si ricordino delle promesse fatte in passato. È questa la linea interpretativa degli organi inquirenti?
Tutte le ipotesi sono plausibili, è difficile trarre conclusioni. Non c’è dubbio, però, che nel corso degli anni ci sono stati degli oscuri messaggi che sono partiti dai boss detenuti, oscuri messaggi che sembrano nascondere appunto delle comunicazioni indirizzate a persone terze, attraverso i quali è come se si minacciasse di dire la verità, di vuotare il sacco su certi temi particolarmente delicati. Però, queste naturalmente sono ipotesi, io da magistrato sono abituato a ragionare non sulle ipotesi, ma sui fatti concreti.
Sull’esistenza della trattativa non ci sono ormai dubbi. Ma da una trattativa, che di norma si dovrebbe concludere con una forma contrattuale, è naturale che le parti ottengano qualcosa. Cosa ha ottenuto la mafia dalla trattativa con lo Stato?
È una valutazione da fare. Non voglio trarre conclusioni sull’indagine, quindi, non posso dire cosa si può considerare accertato, di cosa ha beneficiato la mafia dalla trattativa. Quello che posso dire, e che non c’è dubbio, che rispetto al momento in cui la trattativa iniziò, cioè rispetto al 92, la legislazione antimafia di oggi non è la stessa di quella dei tempi, la legislazione in generale rende più difficile l’azione di contrasto alla mafia, si è determinato un clima ostile nei confronti dei pubblici ministeri, della magistratura e delle sue inchieste. Non dico che questo sia stato un effetto della trattativa, ma è un dato di fatto che anche la mafia abbia finito per beneficiare di questo nuovo stato delle cose.
Procuratore Ingroia, Alcamo e la provincia di Trapani, è stata da poco scossa dai recenti arresti scaturiti dalla operazione “Dioscuri”. Si è colpito il livello prettamente mafioso, ma anche la politica è stata in modo trasversale agli schieramenti oggetto di pesanti addebiti. E poi ci sono le intercettazioni dalle quali emerge che in provincia di Trapani a differenza ad esempio del palermitano, nessuno denuncia il racket. Perché Trapani sembra così indietro rispetto ai temi dell’antimafia?
La società trapanese si è rivelata più impermeabile, da questo punto di vista, al movimento antimafia, il ché nasce penso da ragioni varie, una di queste ragioni ha a ché fare col fatto che non c’è solo la mafia ma ci sono anche altri collanti del potere.
Come la massoneria
Si, come la massoneria che è particolarmente forte nel trapanese e che garantisce questa tenuta del sistema. In più l’insufficiente attenzione della grande opinione pubblica nazionale che è sempre più concentrata su Palermo, e poi direi che c’è una classe media, medio-borghese, che preferisce guardare dall’altro lato anziché muoversi nell’etica dell’impegno e della responsabilità. A Palermo, paradossalmente, c’è un maggiore dinamismo da questa parte della società.
C’è il rischio che la paventata riforma giudiziaria possa remare contro i processi sulle stragi del ‘92 – ’93?
È chiaro che ogni riforma di legge che può danneggiare, inficiare l’efficienza investigativa delle nostre indagini mette a rischio le indagini più delicate compresa questa. Dopodichè però è un discorso che faccio in generale, senza riferimenti concreti specifici.

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