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21 marzo 2010

La verità di Genchi


Pubblicato su L'isola, 5 marzo 2010
di Giuseppe Pipitone
Gli occhi azzurri. Sono la prima cosa che ti colpiscono di Gioacchino Genchi. Due occhi profondi, intensi. Occhi che hanno visto tante, troppe cose. Sarà per questo che Genchi è finito così: etichettato come un mostro, privato del distintivo, messo a tacere e dimenticato. E’ lui stesso che ce lo dice, in una giornata di primavera anticipata, a Trapani, dove presenta il libro di Montolli “ Il caso Genchi”, campione di vendite, ma sul quale le recensioni giornalistiche preferiscono sorvolare.

Ha tanto a dire l’ex vice questore in aspettativa, consulente informatico delle procure di mezza Italia. Parla quasi due ore, ma sembrano pochi minuti. Ha vissuto un anno intenso, un anno inaugurato da Berlusconi con le sibilline parole da Olbia: “c’è un uomo che intercetta mezza Italia.” Oggi, più di dodici mesi dopo,”l’uomo che intercetta mezza Italia” ha perso 35 chili; ha spiegato al Copasir ed ai giornali che lo etichettavano come “spione” che lui le intercettazioni non le ha mai fatte (“semmai incrociavo i tracciati delle utenze”); ha detto la sua sul libro di Edoardo Montolli. Ma tutto questo alla stampa non interessa più. Il caso Genchi è ormai chiuso per i media. Per il diretto interessato, e per alcuni milioni d’italiani invece no.. Parte da lontano l’uomo di Castelbuono, snocciola più di vent’anni di storia italiana contemporanea, una storia vissuta in prima persona all’interno dello Stato. “Se sono ancora qui, vivo e vegeto, è anche per tutto quello che ho scoperto.” Parole lapidarie quelle dell’uomo che non voleva fare l’avvocato. Parole che risuonano nella stanza e lasciano interdetti quando spiega che “I computer di Falcone, dopo la sua morte, furono manomessi prima che abbiamo potuto varcare l’ingresso del suo ufficio in via Arenula a Roma. Riuscimmo a vedere soltanto che erano stati cancellati dei file: tra questi uno in particolare Orlando.bak.” E’ un periodo teso quello per lo Stato, c’è Cosa Nostra che gli fa la guerra, eppure secondo Genchi non si trattava di sola mafia: “ pensare che un attentato come quello di Capaci o via D’Amelio sia stato congeniato soltanto da Cosa Nostra è un’ipotesi irreale: per Capaci occorrevano competenze tecniche e fisiche che Brusca non poteva avere; anche l’idea degli attentati alle bellezze artistiche sembra essere estranea alla cultura di Riina; in via d’Amelio poi venne utilizzato un esplosivo che la mafia non aveva mai adoperato, che non conosceva,ma che era stato trovato a Castiglion Fibocchi, la residenza di Licio Gelli.” Proprio gli ambienti massonici, sono la bestia nera di Genchi. Sono solo due le indagini che il vice questore non ha portato a compimento: la prima volta quelle sulla strage di via D’amelio, la seconda quella di Catanzaro, dove si prefigurava l’esistenza di una nuova P2 ma che procurò soltanto guai al pm titolare dell’inchiesta, Luigi De Magistris, e al consulente informatico della procura, cioè proprio Genchi. “Proprio a Catanzaro mi accorsi che stavamo indagando sulle stesse persone che erano venute fuori quindici anni prima a Palermo.” Il professor Elia Valori è la personificazione del potere italiano. Lo stesso Genchi lo presenta come: “l’unico che fu espulso dalla P2 per condotta morale indegna. Un personaggio enigmatico pieno d’entrature in ambienti politici, nella magistratura, nell’imprenditoria.” Altro personaggio di peculiare interesse è Achille Toro, attualmente dimissionario dopo la scandalo Fastweb, ma che per Genchi era famoso pure prima dato che: “fu il magistrato che incaricò i Ros di sequestrare il mio archivio, immagino il suo stupore quando si accorse che un bel po’ di materiale delle mie indagini riguardavo lui stesso, e alcuni dirigenti del Ros.” Genchi è arrivato a toccare i fili dell’alta tensione; è arrivato a capire in che maniera in Italia venisse detenuto ed amministrato il potere, quello occulto, ufficioso, celato. Un potere che in provincia di Trapani, la provincia più massone d’Italia, è stato, almeno nella storia recente, il potere dominante. Fatta eccezione per l’indagine sulla scomparsa della piccola Denise Pipitone, Gioacchino Genchi non si è mai occupato della “provincia col cappuccio” però, affidandosi al suo innato istinto da “sbirro” ammette che “di certo sono presenti degli equilibri diversi rispetto al resto dell’Italia. Degli equilibri che non sono mai stati soggetti a dei cambiamenti repentini, come avvenne invece a Palermo. Equilibri occulti che continuano a persistere ancora oggi”.Equilibri su cui neanche l’ex vicequestore è riuscito a posare gli intensi e rivelatori occhi azzurri.

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